Incipit di Lanfranco Albani
Il canalone sassoso è abbastanza profondo da tenermi al riparo dal nemico. Scivolo fino in fondo e mi siedo su un masso col fiatone. I filtri del respiratore non riescono a raffreddare l’aria di questo pianeta di merda, ma stare con il casco chiuso mi soffoca.
Da qui ho pensato che il casco fosse “full head”, nel senso che le impedisce di respirare normalmente. Potresti dare in un punto l’idea dell’aria condensata all’interno (ma è solo un suggerimento).
Mi assicuro che i ganci della tuta corazzata siano ben chiusi e collego il cavo del railgun portatile alla batteria nel mio zaino. Il sergente Jordan apre il casco e mi guarda con un ghigno. «Ce la fai a sollevarlo, piccola?»
Non sono sicura di cosa dover immaginare… Di solito un casco si sfila, quindi cosa intendi con “apre”? Perché con aprire un casco penso sia più logico pensare “slacciare la fibbia”, non “sollevare la visiera”.
«Fottiti bestione. Almeno io non ho bisogno di una pausa caffè ogni cinque minuti. I Cryptis ti useranno come bersaglio mobile!»
Ride e mi mostra la lingua. «Alex, i Cryptis non mi hanno mai toccato. Loro non combattono, scappano.»
Cioè le fa la linguaccia o è un gesto più osceno?
Imbraccio il railgun e nascondo una smorfia, non voglio fargli vedere quanta fatica mi costa. Jordan è così antiquato!
Lui si carica il mortaio sulle spalle con una mossa agile. Ci avviamo tra le macerie del villaggio deserto.
Jordan scavalca una trave crollata, si ferma e mi aspetta.
Dove la nasconde?
Così però non hai fatto vedere la mossa agile. Il mortaio se ho ben capito dalle foto “pesa” o dovrebbe pesare abbastanza. Potresti essere più dettagliato qui (anche per dare l’idea di cos’è un mortaio a chi non lo sa) oppure usare una similitudine molto specifica e tipica di Alex per caratterizzarla.
Ci avviamo è plurale, dopo invece Jordan deve aspettarla… quindi lui era davanti? Leggendo che si avviavano ho immaginato che fossero fianco a fianco.
Con la mano libera indico le case diroccate intorno a noi. «Non pensavo che il nemico avesse una tale potenza di fuoco.»
«Non sono stati i Cryptis.»
«Abbiamo bombardato un nostro villaggio?» La voce mi trema dalla rabbia. Jordan è girato dall’altra parte e non riesco a vedere la sua espressione.
La voce del tenente risuona dalla radio nel mio casco: «Plotone Bravo, KT15 su quadrante Delta 12, ETA 18 e 35 Zulu.»
Attenzione perché qui c’è un’inversione temporale, anche se di pochi millesimi… Prima sente la voce e poi capisce di chi è. In alternativa spezza la battuta, per esempio: “«Plotone Bravo.» La voce del tenente risuona dalla radio nel mio casco. «KT15 su quadrante Delta 12, ETA 18 e 35 Zulu.»”.
Jordan si ferma, lascia cadere il mortaio e si guarda intorno, pallido in volto. «Ci danno solo 5 minuti, sono impazziti?»
Appoggio il railgun a terra e do controllo la posizione sul terminale portatile. Ho la gola secca, deglutisco a fatica. «Jordan, è a tre click, siamo morti!»
«Troviamo un buco, forse ce la facciamo, Alex. Sono solo 15 chilotoni.»
«Ma perché un’atomica tattica contro dei selvaggi che neanche combattono davvero?»
Lo sguardo di Jordan si rabbuia. «Forse non vogliono fargli trovare morti da divorare. Per i Cryptis, divorare i morti è un atto di rispetto, ma i cervelloni in alto se ne fregano.»
«Ma sei serio? E come cazzo lo hai scoperto?»
Jordan scrolla le spalle. «Dobbiamo trovare un riparo. Muovi il culo, Alex!»
Da dove è sbucato fuori il terminale?
La casa diroccata di fronte a me potrebbe avere una cantina, raccatto la mia arma e mi fiondo dentro. L’ingresso è pieno di macerie, l’aria è carica di odori di spezie e cibo avariato. In fondo all’ingresso una porta dà su una scala che scende. La cantina! Chiamo Jordan, accendiamo le luci e scendiamo.
Qui sotto è in penombra, piccole lame di luce scendono dal soffitto, almeno le nostre lampade rischiarano un poco. L’odore è dolciastro, un rotolo di stracci è l’unica cosa che spicca sulla distesa di polvere e calcinacci. Mi avvicino e mi sfugge un grido. Jordan corre verso di me. «Merda!»
Con la punta del railgun sposto gli stracci e scopro del tutto il corpo del bambino, un mattone caduto dal soffitto gli ha fracassato il cranio. Crollo in ginocchio e copro il corpo del bambino con lo straccio più grande.
Qui c’è un cambio di soggetto e inoltre stai dividendo pensiero e azione. Quindi punto e virgola oppure due punti se vuoi evidenziare che questo pensiero ha determinato la scelta dell’azione successiva.
Sarebbe meglio evitare il discorso indiretto, anche per una battuta così breve.
Da dove sono uscite le lampade?
A causa del miscuglio nel capoverso non ho capito con certezza se questa battuta sia stata pronunciata da lei o da Jordan. Se da Jordan, vai a capo prima delle sue azioni.
Se siamo in prima persona non possiamo non vedere ciò che vede la protagonista, quindi c’è un errore di punto di vista.
Vorrei urlare, ma Jordan mi spinge a terra. «Riparo!» Si chiude l’elmetto, lo imito appena in tempo.
Il lampo di luce ci trafigge dalle fessure del soffitto, sento l’onda d’urto schiacciarmi a terra mentre la casa mi crolla addosso. La tuta mi protegge dai calcinacci e dai mattoni. Le parti in legno prendono fuoco investite dall’ondata di calore.
Attento al verbo di percezione, puoi sostituirlo facilmente.
Sono viva! Jordan si rialza, circondato da mulinelli di polvere che danzano alla luce che filtra dall’alto.
Le mani mi tremano mentre pulisco il visore. Mi sento stupida nel cantare una antica canzone: «Polvere nel vento, tutto ciò che siamo è polvere nel vento.»
Jordan mi mette una mano sulla spalla. «Ma nel vento possiamo volare.» Si volta verso quello che è rimasto della scala. «Sei stonata, Alex.»
Attenzione a quel “nel cantare” che significa “mentre canto”. Prima canta e poi si sente stupida.
Commento generale: Il testo ha una buona base di partenza ma presenta alcuni problemi. I personaggi si chiamano a vicenda troppo spesso all’interno dei dialoghi. Riduci in fase di revisione.
Compaiono alcune ripetizioni, te le segnalo con gli evidenziatori (esempi: sasso, masso, sassoso; la sequenza del bambino con la parola straccio ecc.).
Ho fatto un’analisi degli aggettivi e dei verbi utilizzati nel testo in relazione al canale sensoriale corrispondente e ho notato che non c’è neanche un’indicazione dei colori della scena: sarebbe meglio inserirne qualcuno, perché sono molto importanti per la vista e per fornire vividezza al testo.
Il canalone sassoso è abbastanza profondo da tenermi al riparo dal nemico. Scendo fino in fondo e mi siedo su un masso col fiatone. Sollevo la visiera, il respiratore non riesce a raffreddare l’aria di questo pianeta, ma stare con il casco chiuso mi soffoca. L’onnipresente odore dolciastro è ancora più fastidioso e mi fa tossire.
«Con tutti i pianeti vergini da colonizzare, proprio questo dovevano scegliere? Ed è pure pieno di ragnoni!»
Il sergente Jordan scivola giù nel canalone con una frana di sassolini fruscianti, una nube di polvere lo copre, sembra un fantasma taglia XXL, le mostrine rosse e blu sono diventate grigie. È tutto grigio qui.
«Ma dai, Alex, i Cryptis non ti sono simpatici, con quegli occhioni?»
Scrollo le spalle e mi assicuro che i ganci della tuta corazzata siano ben chiusi. Collego il cavo del railgun portatile alla batteria nel mio zaino.
Jordan alza la visiera del casco e mi guarda con un ghigno sul faccione barbuto. «Ce la fai a sollevarlo, piccola?»
«Fottiti, bestione. Almeno io non ho bisogno di una pausa caffè ogni cinque minuti. I Cryptis ti useranno come bersaglio mobile!»
Ride e mi fa una linguaccia. «Alex, i Cryptis non mi hanno mai toccato. Loro non combattono, scappano.»
Imbraccio il railgun e nascondo una smorfia con la mano, non voglio fargli vedere quanta fatica mi costa. Jordan è così antiquato!
Lui si carica il mortaio sulle spalle senza il minimo sforzo: peserà almeno quaranta chili. Lo seguo tra le macerie del villaggio deserto.
Jordan scavalca una trave crollata, si ferma e mi aspetta.
Con la mano libera indico le case diroccate intorno a noi. «Non pensavo che il nemico avesse una tale potenza di fuoco.»
«Non sono stati i Cryptis.»
«Abbiamo bombardato un nostro villaggio?» La voce mi trema dalla rabbia. Jordan è girato dall’altra parte e non riesco a vedere la sua espressione. Cammino su un’insegna verde caduta, ci sono delle macchie rosso scuro, forse sangue secco.
«Plotone Bravo.» La voce del tenente risuona dalla radio nel mio casco. «KT15 su quadrante Delta 12, ETA 18 e 35 Zulu.»
Jordan si ferma, lascia cadere il mortaio con un tonfo e alza il braccio per guardare l’orologio, pallido in volto. «Ci danno solo 5 minuti, sono impazziti?»
Appoggio il railgun a terra e controllo la posizione sul terminale portatile attaccato al braccio. Ho la gola secca, deglutisco a fatica. «Jordan, è a tre click, siamo morti!»
Si avvicina, torreggia su di me e si china per guardare il terminale. «Troviamo un buco, forse ce la facciamo. Sono solo 15 chilotoni.»
«Un’atomica tattica contro dei selvaggi che neanche combattono davvero?»
Lo sguardo di Jordan si rabbuia. «Forse non vogliono fargli trovare morti da divorare. Per i Cryptis, divorare i morti è un atto di rispetto, ma i cervelloni in alto se ne fregano.»
«Ma sei serio? E come cazzo lo hai scoperto?»
Jordan scrolla le spalle. «Dobbiamo trovare un riparo. Muovi il culo, Alex!»
La casa diroccata di fronte a me potrebbe avere una cantina; raccatto la mia arma e mi fiondo dentro. L’ingresso è pieno di macerie, l’aria è carica del tanfo di carne avariata e frutta marcia. In fondo all’ingresso una porta dà su una scala che scende. La cantina! Accendiamo le luci dei caschi e scendiamo.
Qui sotto è in penombra, piccole lame di luce scendono dal soffitto, almeno le nostre lampade rischiarano un poco. L’odore è sempre dolciastro, ma diverso. Un rotolo di stracci gialli e blu è l’unica cosa che spicca sulla grigia distesa di polvere e calcinacci. Mi avvicino per controllare.
Con la punta del railgun sposto gli stracci e scopro del tutto il corpo di un bambino. Un mattone caduto dal soffitto deve avergli fracassato il cranio.
«Perché? Perché?» Crollo in ginocchio e gli stendo sopra un telo sporco di sangue.
Vorrei urlare ancora, ma Jordan mi spinge a terra. «Riparo!» Si chiude il casco, lo imito appena in tempo.
Il lampo di luce ci trafigge dalle fessure del soffitto, le parti in legno prendono fuoco investite dall’ondata di calore.
Mi riparo la testa con le braccia, l’onda d’urto mi schiaccia a terra mentre la casa mi crolla addosso. Il botto è così forte da assordarmi. La tuta mi protegge dai calcinacci e dai mattoni.
Sono viva!
Jordan si rialza, circondato da mulinelli di polvere che danzano alla luce che filtra dall’alto. Il ronzio nelle orecchie si mescola alla sua voce, non capisco cosa sta dicendo.
Le mani mi tremano mentre pulisco il visore. Mi sollevo sui gomiti e mi siedo sul pavimento incrinato. Mi torna in mente un’antica canzone: «Polvere nel vento, tutto ciò che siamo è polvere nel vento.» Sospiro, mi sento stupidamente teatrale.
Jordan mi mette una mano sulla spalla. «Ma nel vento possiamo volare.»
Intuisco il suo sorriso dietro il visore impolverato.
Si volta verso quello che è rimasto della scala. «Sei stonata, Alex.» La sua voce è tornata secca come al solito.
Un libro è come una farfalla.
Si parte dalla crisalide, un bozzolo di idee che attendono di essere liberate.
Prosegue la lotta per uscire, diventa forte e dispiega le sue ali.
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