L’arco di trasformazione del personaggio

L’arco di trasformazione del personaggio è un concetto chiave per la progettazione di una buona storia. Scopriamo come usarlo.

Hai già impostato una routine di scrittura?

Il conflitto

Il conflitto è ciò che attira l’attenzione del lettore, e allo stesso tempo è uno dei motori portanti dell’intera storia. Collegandoci con il concetto di idea espresso da Puccio, possiamo definire: il desiderio e il bisogno.

Il desiderio è l’obiettivo conscio del protagonista, mentre il bisogno è ciò di cui ha veramente necessità – spesso a livello inconscio – per trasformarsi e raggiungere l’obiettivo.

Esistono tre livelli di conflitto:

  • interiore,
  • personale,
  • extra-personale.

Affrontare i conflitti per il protagonista deve comportare un rischio.

Maggiore è il rischio, maggiore sarà il valore della posta in gioco.

L’arco di trasformazione del personaggio

Il concetto di arco di trasformazione si riferisce al modo in cui il personaggio (in particolare il protagonista) cambia e cresce nel contesto del conflitto sviluppato nel libro.

Esso «riflette il percorso naturale dello sviluppo psicologico, emotivo e spirituale dell’uomo» (L’arco di trasformazione del personaggio, Dara Marks, Dino Audino, 2007).

Ora dovrebbe essere più semplice capire perché il conflitto (e quindi la trasformazione) è fondamentale come forza conduttrice di un’intera storia.

In quest’ottica, la trama – cioè ciò che avviene in sostanza nella storia – diventa il mezzo attraverso cui realizzare la trasformazione del protagonista.

La trama e la struttura

Sempre Dara Marks dà indicazioni sull’iniziare una storia quando succede qualcosa che modifica la situazione iniziale (evento rilevante, noto anche come evento scatenante). Oppure quando qualcosa in apparenza semplice contiene in sé l’anticipazione di un problema.

A volte il protagonista non si rende conto a livello conscio che è stato messo in moto un meccanismo irreversibile. Spesso si rifiuta di affrontare la situazione. Non sa cosa fare e si tormenta nell’indecisione, nella convinzione di non essere capace, oppure è convinto di non voler muovere un passo in avanti.

Perché? Intuisce quel primo passo potrebbe portarlo a cambiare, e cambiare fa paura. Richiede un notevole sforzo e un’incalcolabile quantità di coraggio.

Il cambiamento

Apro una piccola digressione sul cambiamento. Questo pensiero è tratto dal quindicesimo episodio di Neon Genesis Evangelion (studio Gainax), nel primo doppiaggio italiano:

«Omeostasi e transistasi: l’attitudine volta a preservare uno stato e l’attitudine volta a cambiarlo. Gli esseri viventi sono caratterizzati da entrambe queste due contrastanti capacità. […] Ogni forma di vita oscilla fra questi due comportamenti, e la scelta dell’uno o dell’altro determina a seconda delle situazioni la sopravvivenza o l’estinzione di quell’organismo. È infatti possibile che non mutando non sia capace di sopravvivere in un ambiente diverso, così come può promuovere anche una evoluzione sbagliata in grado di portarlo solo alla morte.»

Cambiare (adattarsi) significa sopravvivere.

Per l’essere umano può implicare:

  • modificare sé stessi in base all’ambiente;
  • modificare l’ambiente in base alle proprie esigenze (ma per farlo occorre almeno un’idea, quindi si configura un duplice cambiamento, perché come ha detto Puccio, un’idea è l’input per il soddisfacimento di un bisogno).

L’arco di trasformazione del personaggio

Torniamo al protagonista. Proprio quando intraprende il percorso, le cose vanno in modo diverso da come aveva previsto: comincia a capire che, per ottenere qualcosa, dovrà anche rinunciare a una parte di sé.

Magari persegue il suo obiettivo con determinazione, ma arriva un punto ha bisogno di riflettere, oppure di qualcuno che gli spieghi dove sta sbagliando, per esempio un mentore. Solo così può scoprire sé stesso, spogliandosi delle bugie che si raccontava per andare avanti con lo schema di sopravvivenza precedente.

Rinforzato dalla riscoperta della propria identità, affronta le difficoltà con rinnovato vigore, talvolta sentendosi invincibile.

Qual è il problema adesso?

La consapevolezza non basta a rendere in automatico i suoi comportamenti efficaci. Per tale motivo, è molto probabile che il personaggio crolli.

Ora è ancora più complicato capire qual è la cosa giusta da fare. Il protagonista deve toccare il fondo, deve rinunciare davvero a una parte di sé e «arrendersi a quella parte della sua natura che sta lottando per nascere» (L’arco di trasformazione del personaggio, Dara Marks, Dino Audino, 2007)

Privo di punti di riferimento – perché ricordiamo che ha scardinato totalmente le sue convinzioni precedenti – arriva a rischiare davvero tutto: nel punto di tensione più alto deve prendere una decisione cruciale, che porterà poi l’intera storia verso il suo finale.

Sempre a proposito di trasformazione, voglio fare una piccola digressione sulle relazioni.

«Siamo chi siamo nella relazione con gli altri. Gli altri con cui siamo in relazione sono sé stessi nella relazione.» (Giochi finiti e infiniti. La vita come gioco e possibilità, James P. Carse, Mondadori, 1986)

Qui non ho parlato delle relazioni del protagonista, ma è un aspetto da tenere in considerazione.

3. Comunic(azione)

Regole. Stai facendo una smorfia o hai già preso un bel taccuino per prendere appunti?

Molti pensano che le regole affossino la creatività. Non è così. Questa menzogna la raccontano scrittori che non hanno alcuna voglia di mettersi in discussione, che si sentono arrivati, fatti e finiti (magari hanno pubblicato una discreta quantità di libri).

Ti ripropongo una variante di una domanda che ti ho già posto nell’introduzione alla narratologia.

Impegnarsi al massimo per scrivere al meglio può davvero fare la differenza tra una bella storia e una storia indimenticabile?

Sì.

Tralasciando il fatto che ogni scrittore può avere diverse aspettative riguardo alla pubblicazione dei suoi testi, lo scopo ultimo dello scrivere è comunicare (e magari produrre qualcosa di artisticamente degno di nota). Se stai per protestare dicendo che scrivi per te stesso, fermati un momento.

Il libro come mezzo di comunicazione

Sì, un libro è un mezzo di comunicazione, e in quanto tale segue le regole della comunicazione.

Comunicare richiede un interlocutore. Umberto Eco diceva che un autore deve immaginare un lettore modello e in base a ciò scegliere una strategia di comunicazione.

Se non hai un lettore modello, probabilmente comunichi con te stesso, però questa è solo una simulazione della dualità della comunicazione. Sapere con chi parli, a chi parla il tuo libro, è fondamentale per effettuare le scelte comunicative più efficaci, ovvero per decidere come esprimersi.

Lo stile

«Ciò che chiamiamo realtà, quando lo afferriamo, si scompone e ricompone nella nostra mente per tradursi in rappresentazione.» (Farsi capire. Comunicare in modo efficace, interessante, persuasivo, Annamaria Testa, Rizzoli, 2009)

Rappresentiamo ciò che percepiamo, quindi potremmo dire che il libro è una manifestazione delle nostre percezioni. Perciò credo che lo stile consista in un insieme di scelte.

Proviamo a definire in modo progressivo, dal generico allo specifico, cosa per me rende unico lo stile di un autore. È l’insieme di queste scelte a definire lo stile dell’autore.

  • La scelta del lettore ideale. Proprio come ha spiegato Umberto Eco.
  • La scelta di cosa raccontare. Definire la linea narrativa principale e le scene. Non si può raccontare una vita intera (la quantità di informazioni sarebbe eccessiva). Ciò che dice l’autore indica il suo modo unico di guardare il mondo.
  • La scelta di come montare le scene. Quello che comunemente viene chiamato intreccio, ovvero un modo unico per presentare le vicende, che non segue per forza l’ordine cronologico.
  • La scelta di come raccontare ogni singola scena. Anche in una singola scena non si può raccontare ogni singolo momento né ogni singolo dettaglio.
  • La scelta delle singole parole e di come intrecciarle. Questo punto è particolare, perché la scelta si esplica anche nella non-scelta di tutte le altre parole.

La scelta di cosa raccontare

Piccolo focus su questo particolare aspetto dello stile. Ovvero, ti spiego perché ho chiamato questo capitolo comunic(azione).

Le azioni. Tu dirai che sono un insieme di fatti su cui si fonda lo svolgimento di una storia. Vero. Però il vocabolario riporta anche un altro significato: «potere o forza determinante». Andando più a fondo, determinante significa «che provoca direttamente l’avverarsi un fatto».

Perché le azioni sono importanti? Perché rappresentano il potere di determinare qualcosa, ovvero il cambiamento del protagonista. Un cambiamento che si esplicita con un fatto.

Bisogna ribadire che non bastano i bei discorsi e le prese di coscienza: servono fatti, decisioni e quindi azioni.

Perciò è importante raccontare le azioni e non soltanto lunghi momenti riflessivi. Quasi mai rimuginare produce un cambiamento: per quello servono un primo passo e poi un secondo e un terzo.

Progetta usando il conflitto, l’arco di trasformazione del personaggio e le azioni. I tuoi lettori ti ringrazieranno.


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